Escolha uma Página

In questo tempo del coronavirus che sta causando paura e portando morte a molte persone in tutto il mondo, la celebrazione del Venerdì Santo assume un speciale significato. C’è Qualcuno che ha anche sofferto e, in mezzo a dolori terribili, è stato crocifisso, Gesù di Nazareth. Sappiamo che tra tutti coloro che soffrono si stabilisce un misterioso legame di solidarietà. Il Crocifisso, sebbene attraverso la risurrezione è stato fatto l’uomo nuovo e il Cristo cosmico, continua, proprio per questa ragione, a soffrire e ad essere crocifisso in solidarietà con tutti i crocifissi della storia. Così sarà oggi e fino alla fine dei tempi.

Gesù non è morto perché tutti dobbiamo morire. Fu assassinato a seguito di un doppio processo giudiziario, uno da parte dell’autorità politica romana e l’altro dall’autorità religiosa ebraica. La sua condanna era dovuta al suo messaggio del Regno di Dio, che implicava una rivoluzione assoluta in tutte le relazioni, alla sua nuova immagine di Dio come “Padre” (Abba) pieno di misericordia, alla libertà che predicava e viveva di fronte alle dottrine e le tradizioni che pesavano sulle spalle delle persone, al suo amore incondizionato, in particolare verso i poveri per i quali aveva compassione ed i malati che curava e, infine, per presentarsi come il Figlio di Dio. Questi atteggiamenti hanno rotto con lo status quo politico-religioso dell’epoca. Hanno deciso di eliminarlo.

Né morì semplicemente perché Dio lo voleva, il che sarebbe in contraddizione con l’immagine amorevole di Dio che ha annunciato. Ciò che Dio voleva, questo sì, era la sua fedeltà al messaggio del Regno e a Lui, sebbene ciò implicasse la morte. La morte è stata il risultato di questa fedeltà di Gesù a suo Padre e alla sua causa, il Regno, fedeltà che è uno dei più grandi valori di una persona.

Quelli che lo hanno crocifisso non potevano definire il senso di questa condanna. Lo stesso Crocifisso ha definito il suo significato: un’espressione di amore estremo e di donazione senza riserve per raggiungere la riconciliazione e il perdono per tutti coloro che lo hanno crocifisso e la solidarietà con tutti coloro che sono stati crocifissi nella storia, in particolare quelli che sono crocifissi innocentemente. È la via della liberazione e della salvezza umana e divina.

Affinché quella morte fosse davvero la morte, come l’ultima solitudine umana, attraversò la tentazione più terribile che chiunque potesse attraversare: la tentazione della disperazione. Ciò è evidente nel suo grido sulla croce. Lo scontro ora non è con le autorità che lo hanno condannato. È con suo Padre.

Il Padre con il quale ha vissuto una profonda intimità filiale, il Padre che aveva annunciato come misericordioso e con la bontà di una Madre, il Padre, il cui progetto, il Regno, aveva proclamato e anticipato nella sua prassi liberatrice, questo Padre ora, nel momento supremo della croce, sembra averlo abbandonato. Gesù attraversa l’inferno dell’assenza di Dio.

Verso le tre del pomeriggio, poco prima del momento finale, Gesù grida a gran voce: “Eloí, Eloí, lemá sabachtani: Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” Gesù è sull’orlo della disperazione. Dal più profondo vuoto del suo spirito, sorgono domande terrificanti che costituiscono la più terribile tentazione, peggio delle tre di Satana nel deserto.

La mia lealtà al Padre era assurda? La lotta per il Regno, la grande causa di Dio, non aveva senso? Sono stati vani i pericoli che correvo, le persecuzioni subite, il degradante processo capitale a cui sono stato sottoposto e la crocifissione che sto soffrendo?

Gesù è nudo, indifeso, totalmente vuoto davanti al Padre che tace. Questo silenzio rivela tutto il suo mistero. Gesù non ha nulla a cui aggrapparsi.

Per i criteri umani, ha completamente fallito. La sua certezza interiore svanì. Ma anche se il terreno scompare sotto i suoi piedi, continua a fidarsi del Padre. Poi grida a gran voce: “Mio Dio, mio Dio!” Nel pieno della disperazione, Gesù si concede al Mistero davvero senza nome. Sarà la sua unica speranza e sicurezza. Non ha più alcun sostegno in se stesso, solo in Dio. L’assoluta speranza di Gesù è comprensibile solo assumendo la sua assoluta disperazione.

La grandezza di Gesù fu sopportare e superare questa terribile tentazione. Ma questa tentazione gli procurò un totale spogliarsi di se stesso, un essere nudo e un vuoto assoluto. Solo in questo modo la morte è davvero completa, nelle parole del Credo, una “discesa all’inferno” dell’esistenza, senza nessuno che ci accompagni. D’ora in poi, nessuno sarà solo nella morte. Lui sarà con noi perché ha sperimentato la solitudine di questo “inferno” del Credo.

Le ultime parole di Gesù mostrano la sua consegna, non rassegnata ma libera: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). “Tutto è compiuto” (Gv 19:30) “E con un forte grido, Gesù spirò” (Mc 15:37).

Questo vuoto totale è il presupposto per la pienezza totale. Il vuoto richiede di essere riempito. Questo è avvenuto attraverso la sua resurrezione. È la risposta del Padre alla fedeltà del Figlio, a colui che ha passato per questo mondo “facendo del bene” (At 10,39), guarendo alcuni e resuscitando altri. Questa resurrezione non è la rianimazione di un cadavere, come quella di Lazzaro, ma l’irruzione dell’uomo nuovo (novissimus Adam: 2Cor 15,45), le cui latenti virtualità implosero ed esplosero in piena realizzazione e fioritura.

Ora il Crocifisso è il Risorto, presente in tutte le cose, il Cristo cosmico delle epistole di San Paolo e di Teilhard de Chardin. Ma la sua resurrezione non è ancora completa. Mentre i suoi fratelli e le sue sorelle rimangono crocifissi, la pienezza della risurrezione è in corso e ha ancora un futuro. Come insegna San Paolo, “lui è il primo tra tanti fratelli e sorelle” (Rm 8,29; 2 Cor 15,20). Perciò, con la sua presenza di Risorto, accompagna la Via Crucis dei dolori delle sue sorelle e fratelli umiliati e offesi.

Viene crocifisso nei milioni di persone che ogni giorno soffrono la fame nelle favelas, dove sono sottoposti a condizioni di vita e di lavoro disumane. Crocifisso in quelli in terapia intensiva che stanno combattendo, senza aria, contro il coronavirus. Crocifisso in chi è emarginato nelle campagne e nelle città, in quelli discriminati per essere neri, indigeni, fuggiti dalle schiavitù, poveri e di un diverso orientamento e sessuale.

Continua a essere crocifisso in quelli perseguitati per la loro sete di giustizia, in coloro che rischiano la vita in difesa della dignità umana, in particolare quella degli invisibili. Crocifisso in tutti coloro che combattono, senza successo immediato, contro i sistemi che succhiano il sangue degli operai, dilapidano la natura e producono profonde ferite nel corpo di Madre Terra. Non ci sono abbastanza stazioni su questa via dolorosa per descrivere tutti i modi in cui il Crocifisso/Risorto continua a essere perseguitato, imprigionato, torturato e condannato.

Ma nessuno di loro è solo. Gesù cammina, soffre e resuscita in tutti questi suoi compagni di tribolazione e di speranza. Ogni vittoria della giustizia, della solidarietà e dell’amore sono beni del Regno che si sta già realizzando nella storia, un Regno di cui saranno i primi eredi.

*Leonardo Boff, teologo, ha scritto: Pasione de Cristo – pasione del mundo, Vozes 2007,Trotta 2002.

Traduzione di M. Gavito e S. Toppi