Nonostante tutta l’allegria del carnevale passato, in quasi tutte le città del nostro paese si stende una cappa di tristezza e di abbandono che si può leggere sul volto della maggioranza delle persone che incontriamo per le vie di città come Rio e Sao Paolo, tra le altre.
È che il golpe parlamentare-giuridico-mediatico (che sappiamo appoggiato dagli organi di Sicurezza degli USA) oggi ci ha chiuso l’orizzonte. Nessuno sa dirci dove stiamo andando. Il segnale che addita in modo irrefutabile è l’aumento della violenza con un numero di vittime pari se non addirittura superiore ai paesi in guerra. E ancora abbiamo subito un intervento militare a Rio de Janeiro.
A pensarci bene, noi viviamo dentro una guerra civile reale. Le classi, già abbandonate, ora lo sono anche di più, a causa dei tagli ai programmi sociali che l’attuale governo di Stato di eccezione ha imposto a migliaia di famiglie.
Eravamo usciti dalla mappa della fame. Ci siamo rientrati. E non si dica che sono state le politiche dei governi PT, che invece sono state loro a farci uscire dalla carta geografica della fame. L’applicazione del liberismo più radicale da parte della nuova classe dirigente istallata nello Stato, sta producendo fame e miseria. L’aumento della violenza nelle grandi città è proporzionale all’abbandono a cui erano state sottoposte.
Le discussioni dei vari organismi, responsabili per la sicurezza, non vanno mai alla radice del problema. Il nodo reale che non vogliono affrontare, risiede nella nefasta diseguaglianza sociale, cioè nell’ingiustizia sociale, storica e strutturale su cui è stata costruita la nostra società. La diseguaglianza sociale cresce o per lo meno si concentra in proporzione al concentrarsi della rendita dell’Agroindstria sulle terre degl’indigeni e dei popoli della foresta e in proporzione dei tagli ai programmi di educazione, sanità e sicurezza.
O si fa giustizia in questo paese, giustizia che comprende la Riforma Agraria, Tributaria, Politica e dei sistemi di Sicurezza, oppure mai sconfiggeremo la violenza, che tenderà a crescere in tutto il paese. Se un giorno, è quel che temiamo, gli emarginati della grande periferia abbandonata si ribellassero a causa della fame e della miseria e decidessero di assaltare i supermercati e i centri urbani, questa evenienza potrebbe produrre una Bogotaçao brasiliana come quella avvenuta verso la metà del secolo scorso a Bogotà dove distrussero per settimane a filo tutto quello che gli si parava innanzi.
Suppongo che le élites del sottosviluppo, appoggiate dai media conservatori, una giustizia debole, per non dire complice dall’apparato poliziesco dello stato, nuovamente da loro occupato, potranno usare grande violenza, senza risolvere, anzi aggravando la situazione.
In questo quadro, come alimentare la speranza che il Brasile ce la farà e che potremo creare un società meno malvagia, come diceva Paulo Freire?
Bene ha detto il vescovo profetico, l’anziano Dom Pedro Casaldaliga, là dagli sprofondi dell’Araguaia matogrossense: “Portatori di speranza sono quelli che camminano e si impegnano a superare le situazioni di barbarie. Questi cambiamenti mai verranno dall’alto né dall’attuale establishment; verranno dal basso, dai movimenti sociali organizzati e con piccoli frammenti di partiti impegnati per il benessere del popolo.
Il Papa Francesco, nel gesto di benedire i movimenti latino-americani, in Santa Cruz de la Serra (Bolivia) ha coniato tre espressioni, riassunte in tre “T”: Terra per produrre; Tetto, per ripararsi; Lavoro (Trabalho) per guadagnarsi da vivere.
Ha lanciato una sfida: non aspettatevi nulla dall’alto, perché darebbe sempre lo stesso risultato. Siate voi stessi i profeti del nuovo, organizzate la produzione solidaristica, specialmente l’organico, reinventatevi la democrazia e seguite questi tre punti fondamentali: economia per la vita e non per il mercato; giustizia sociale perché se manca questa, non ci sarà pace; e attenzione alla Casa Comune, senza la quale nessun progetto avrebbe senso.
La speranza nasce da tutto quest’impegno per la trasformazione. La speranza qui deve essere pensata nella linea che c’insegnò il grande filosofo tedesco Ernst Bloch, che ha enunciato il “Principio Speranza”.
Voglio dire, la speranza non è una virtù qualsiasi, una fra tante altre. Essa è molto di più, è il motore di loro tutte; è capacità di pensare il nuovo ancora intatto; è il coraggio di sognare un altro mondo possibile e necessario; il coraggio di progettare utopie che ci facciano camminare e che mai ci lasciano fermi per le conquiste fatte o oppure quando sconfitti, ci facciano rialzare per riprendere il cammino. La speranza si mostra nel suo farsi, nell’impegno, nella trasformazione, nel coraggio di superare ostacoli e affrontare gruppi di avversari. Questa speranza non può morire mai.
*Leonardo Boff è scrittore, filosofo e teologo. Ha scritto: Concluir a Refundaçao ou Prolongar a depedencia? prossimamente per i tipi d Vozes.
Traduzione di Romano Baraglia e Lidia Arato.
sempre lucido e consolador