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A revista MicroMega é um dos principais veículos intalianos do novo pensamento filosófico e político que se propõe discutir as questões atuais num claro enfrentamento com o pensamento único. Dei uma entrevita a uma conhecida jornalista Claudia Fanti, especializada em teologia e religião com particular atenção à América Latina e à África. Atua no semanário Adista, conhecido mundialmente por tratar de forma sistemática os temas religiosos, culturais e políticos atinentes às  Igrejas. Reproduzo a entrevista no nº3/2017 pp.93-204. Lboff
 

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A Wojtyła e Ratzinger rimprovera di aver concepito la Chiesa come una fortezza assediata da ogni lato da nemici da combattere, nonché di aver formato tre generazioni di vescovi, preti e cristiani più preoccupati della dottrina e della sontuosità delle liturgie che del destino di milioni di vittime dell’ingiustizia sociale. Ma l’arrivo sul soglio pontificio di papa Francesco – nonostante tutti quelli che remano contro – ha rappresentato una totale inversione di rotta. Perché per il teologo brasiliano, tra i principali esponenti della teologia della liberazione, Francesco è espressione di un altro progetto di Chiesa e di mondo. Una Chiesa che è casa aperta a tutti e che, in nome degli sfruttati, denuncia le cause del loro sfruttamento.
LEONARDO BOFF
in conversazione con
CLAUDIA FANTI
Molta acqua è passata sotto i ponti da quando Leonardo Boff, padre fondatore della teologia della liberazione e massimo esponente dell’eco- teologia, fu costretto a sedersi, nel 1984, nel posto che fu di Galileo, in quel Sant’Uffizio che oggi prende il nome di Congregazione per la dot- trina della fede, laddove, dopo essere state torturate, le vittime subivano
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il pesante interrogatorio degli inquisitori. Processato da una commissio- ne presieduta dall’allora cardinale Ratzinger per le presunte tesi marxiste contenute nel suo libro Chiesa: carisma e potere 1, Boff era stato allora punito con l’obbligo del silenzio ossequioso, finché, nel 1986, a causa delle pressioni internazionali, la sanzione non era stata parzial- mente revocata. Ma non era, purtroppo, finita lì. Nel 1992, nel momento in cui Giovanni Paolo II lo aveva minacciato di ulteriori provvedimenti disciplinari nel caso avesse preso parte al Summit della Terra, Boff ave- va abbandonato l’Ordine dei francescani e rinunciato al sacerdozio, continuando però infaticabilmente a svolgere la sua attività di teologo della liberazione, scrittore e docente. Insignito nel 2001 del premio Right Livelihood Award, meglio noto come Premio Nobel Alternativo, «per le sue intuizioni ispiratrici sul connubio tra spiritualità umana, giustizia sociale e cura dell’ambiente e per il suo decennale impegno per la causa dei poveri e degli esclusi», il teologo brasiliano ha ottenuto di fatto la sua riabilitazione all’interno della Chiesa grazie a papa Francesco, il quale ha richiesto anche il suo aiuto per elaborare l’enciclica Laudato si’, fino a citare, nel documento, il titolo di uno dei suoi libri più noti, Grido della terra, grido dei poveri 2.
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Hai riconosciuto a papa Francesco il merito di aver trasformato in un patrimonio comune della Chiesa quella teologia della liberazione che, tra persecuzioni e martirî, è stata tante volte data per moribonda (da chi, ovviamente, fremeva per seppellirla). Cos’è che distingue il suo pro- getto di Chiesa rispetto a quello dei suoi predecessori?
Papa Francesco è frutto del brodo di coltura ecclesiale del Conci- lio Vaticano II (1962-1965) e principalmente della sua innovativa ricezione in America Latina, il cui inizio risale alla riunione del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam) svoltasi nel 1968 a Medellín, in Colombia. È in questa storica assemblea generale dell’episcopato dell’America Latina, infatti, che i vescovi assunse- ro ufficialmente la tematica della liberazione come alternativa allo sviluppo, inteso, quest’ultimo, come «sviluppo del sottosviluppo». È a partire da qui che prende avvio la teologia della liberazione, il cui marchio di fabbrica è rappresentato dall’opzione per i poveri, contro la povertà e a favore di una liberazione che derivi dalla
1 L. Boff, Chiesa: carisma e potere, Edizioni Borla, Roma 1984. Tutte le note sono redazionali.
2 L. Boff, Grido della terra, grido dei poveri. Per una ecologia cosmica, Cittadella Editrice, Assisi 1996.
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giustizia sociale. Se mancasse tale opzione, infatti, non potrebbe mai esistere una teologia della liberazione. Così come non potrebbe mai esserci un’autentica liberazione se non fossero i poveri stessi, intesi come oppressi, ad assumere nella loro prassi il ruolo di protagonisti. Perché non ci sono dubbi che la Chiesa, i preti, i religiosi, le religiose e i teologi non sono nulla di più che alleati passati per una porta secondaria.
I due papi precedenti, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, sotto cui questa teologia ha sofferto ripetuti attacchi, intendevano la Chiesa come una nave ancorata tranquillamente nel porto, al riparo da ogni pericolo. Il fatto, però, è che una nave non viene costruita per- ché se ne resti sicura in porto, ma affinché solchi gli oceani, sfidan- do le onde più alte. Ed è anche quello che pensa Francesco, vesco- vo di Roma e papa, il quale intende appunto la Chiesa come una nave in mezzo all’oceano, esposta alla violenza dei flutti. Di modo che non chiede a Dio: «Signore, liberaci da onde paurose». Bensì: «Dacci il coraggio di essere più forti di queste».
Per usare un’altra metafora, la Chiesa dei due papi precedenti era come una fortezza circondata da alte mura e assediata da ogni lato da nemici da combattere e da cui difendersi. Una Chiesa in guer- ra con la modernità, con le sue nuove modalità di essere nel mon- do. Una Chiesa, insomma, tutta rivolta al suo interno. Per Bergo- glio, invece, la Chiesa deve essere una casa aperta a tutti. Ancora meglio, deve essere un ospedale da campo in grado di accogliere tutti i feriti, nel corpo e nell’anima, poco importa se musulmani, atei o cristiani. Si tratta di una Chiesa rivolta verso il mondo e verso i molti altri, particolarmente i più vulnerabili. La prima, la Chiesa di papa Wojtyła e di papa Ratzinger, è simile alla Chiesa giudaico-cristiana di Pietro, che ancora non si era liberata dai le- gacci del giudaismo. La seconda, quella di Bergoglio, è la Chiesa di Paolo inviato «ad gentes». Il primo modello può difficilmente risultare significativo per gli uomini e le donne contemporanei che non si sentono compresi dalla Chiesa; il secondo, al contrario, è universale ed ecumemico e può essere apprezzato non solo dai cristiani ma anche dai non cristiani.
A più di 45 anni dalla sua nascita, la teologia della liberazione ha an-cora qualcosa da dire? Incompresa, diffamata, perseguitata e condan- nata dai poteri di questo mondo, cosa ha conservato delle intuizioni originarie e in cosa è cambiata?
La Chiesa si è sempre mostrata preoccupata nei riguardi dei pove- ri. Ma lo ha fatto all’interno di una strategia che consideriamo
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sbagliata, in quanto ha operato per i poveri, ma raramente con i poveri e mai a partire dai poveri. Ha guardato ai poveri, insomma, con lo sguardo dei ricchi. Per questo, ciò a cui si è assistito è stato un forte assistenzialismo e un forte paternalismo. Chi ha deve aiutare chi non ha. È una strategia che ha mantenuto i poveri sempre dipendenti. La teologia della liberazione, invece, ha segui- to un’altra visione e un’altra strategia. Il povero non è mai soltan- to povero. Ma ha una sua cultura e, organizzato e unito ad altri poveri, rappresenta una forza storica in grado di modificare le relazioni sociali. La teologia della liberazione parte, insomma, dal valore del povero. Per questo assume la strategia di lavorare con i poveri e a partire dai poveri. Non ci sarà mai, infatti, una libera- zione per i poveri senza i poveri. Devono essere loro i soggetti della propria liberazione. Mai nella storia della Chiesa i poveri hanno avuto tanta centralità. E questo è il merito della teologia della liberazione.
A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, poi, è apparso chia- ro a molti teologi che la stessa logica che sfrutta l’operaio, le clas- si sociali, le minoranze etniche, calpesta anche la natura e tutto il pianeta Terra. Gridano gli alberi, gridano gli animali, gridano le acque, grida l’intero pianeta sotto l’oppressione di quel processo di industrializzazione che porta a esaurimento i limitati beni e servizi della natura in funzione di un progetto di accumulazione illimitata. Un pianeta limitato come è la Terra non può sostenere un progetto illimitato.
Allora, fintantoché ci saranno poveri che gridano, fintantoché la Terra sarà sistematicamente aggredita, ci saranno cristiani in gra- do di indignarsi, di commuoversi e di schierarsi dalla parte degli oppressi e della Madre Terra devastata. Cristiani che daranno inizio a pratiche di liberazione insieme con gli oppressi ed elabo- reranno una riflessione a partire da tale prassi. Una riflessione che si chiamerà teologia della liberazione. E che, oggi, è diventata un patrimonio della Chiesa universale, la quale si è risvegliata alla responsabilità della salvaguardia di tutto il creato. Una coscienza liberatrice, questa, che si mostra viva e attiva sotto il pontificato di papa Francesco, il quale viene da un tipo di teologia della libera- zione che è stato elaborato in Argentina e che si configura come teologia del popolo oppresso e della negazione della sua cultura. Non dobbiamo mai dimenticare che siamo eredi di un prigioniero politico, perseguitato, catturato, torturato e crocifisso fuori dalla città: Gesù di Nazaret. È lui che ci ha lasciato in eredità il sogno di una liberazione totale, tale da includere la stessa creazione. È
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lui il massimo riferimento della teologia della liberazione. Marx non è mai stato il padre o il padrino di questa teologia. E questo sta risultando chiaro persino in Vaticano, se consideriamo il libro che il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Gerhard Ludwig Müller ha scritto insieme a Gustavo Gutiérrez con il significativo titolo Dalla parte dei poveri. Teologia della libe- razione, teologia della Chiesa 3. Ma bisogna essere chiari: ciò che è importante non è la teologia ma la liberazione concreta degli op- pressi. È la liberazione intesa come un bene del Regno di Dio, il grande sogno del Gesù storico, non la riflessione su questa libera- zione che prende il nome di teologia.
Affiorano in ogni parte del corpo ecclesiale le speranze di una riforma strutturale della Chiesa, riemergendo dal panorama di desolazione la- sciato, come sottolinei tu, dai pontificati di Giovanni Paolo II e di Bene- detto XVI, da quel «ritorno alla grande disciplina» che ha richiuso vio- lentemente le finestre aperte dal Concilio. Non ti sembra però che la di- scontinuità espressa da papa Bergoglio si situi su un piano più simbolico che dottrinario? E, soprattutto, basterà che il papa sia diverso, per rendere diversa la Chiesa?
Non sono le dottrine a occupare il centro delle preoccupazioni del vescovo di Roma in quanto, dal punto di vista teologico, le dottri- ne, in sé, non salvano nessuno. Ciò che salva, come insegnano i Concili, è «la fede informata dall’amore». Una fede senza amore persino i demoni ce l’hanno. Quello che non hanno è l’amore. Chi ha l’amore, ha tutto. Per il vescovo di Roma, la cosa importante è l’incontro con il Cristo vivente e con la sua prassi di amore e di misericordia, di accoglienza verso ogni genere di persone. France- sco recupera così la «tradizione del Gesù storico», che viene prima dell’elaborazione dei Vangeli con le loro varie teologie soggiacen- ti. Così, le categorie della «misericordia», della «gioia», della «belezza», della «cura», della «tenerezza» assumono un’importanza fondamentale. Non è un caso che egli abbia diverse volte invitato a compiere «la rivoluzione della tenerezza». Ed essendo un grande lettore di Fëdor Dostoevskij, sicuramente sarà rimasto colpito dalla celeberrima frase del principe Myškin nell’Idiota: «La bellezza salverà il mondo».
Poiché la struttura della Chiesa è segnata dalla «cefalizzazione», nel senso che tutto è concentrato nel vertice, che è il papa, se questo
3 G. Gutiérrez, G.L. Müller, Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teo- logia della Chiesa, Emi, Bologna 2013.
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vertice muta, molte cose sono destinate a cambiare nella Chiesa. Ciò viene percepito in maniera chiara in riferimento ai due papi precedenti, conservatori e dottrinari. È sul loro pontificato che ri- cade la responsabilità della formazione di tre generazioni di vescovi, preti e cristiani che si caratterizzano per la preoccupazione per la dottrina e per la sontuosità delle liturgie, espressione di un cristia- nesimo devozionale e poco attento al destino di milioni e milioni di vittime dell’ingiustizia sociale a livello mondiale. Espressione di una Chiesa, cioè, che non ama parlare dei poveri e della loro liberazione. Papa Francesco, al contrario, rappresentando un diverso tipo vertice, caratterizzato dall’apertura, dalla delicatezza e dal buon umore, sta cambiando l’immagine della Chiesa: una Chiesa vicina al popolo e ai poveri, amorevole, «con l’odore delle pecore». Ma si tratta di un cambiamento per nulla facile dopo tanti anni di assimi- lazione del cristianesimo, ancorato al passato e per nulla contempo- raneo, dei due papi precedenti.
Questo tuttavia dobbiamo riconoscerlo: Francesco è più che un nome. È espressione di un altro progetto di Chiesa e di mondo. Di una Chiesa che, in nome degli sfruttati, denuncia la causa del loro sfruttamento: il sistema che accumula illimitatamente e adora il denaro. Il papa non parla esplicitamente di capitalismo, ma è evi- dente che si riferisce ad esso. Al punto che, lo scorso luglio, du- rante il volo di ritorno dalla Polonia, in occasione della XXXI Giornata mondiale della gioventù, è arrivato a dire, a proposito di terrorismo, che il nemico della vita, il vero terrorismo contro l’u- manità, è dato proprio da questo sistema di accumulazione. E, cosa inedita nella storia del pontificato, per tre volte (due in Vati- cano e una a Santa Cruz de la Sierra in Bolivia) ha convocato i rappresentanti dei movimenti popolari mondiali, per ascoltare dalla loro bocca quali sofferenze vengono loro inflitte e chi sono coloro che le provocano. Si tratta, insomma, di una Chiesa profe- tica che denuncia l’iniquità sociale del mondo di oggi e conferisce centralità alle vittime. Decidendo di alloggiare non nei palazzi pontifici ma alla Casa di Santa Marta e scegliendo di non indossa- re la mozzetta, la mantellina corta che è il simbolo pagano e impe- riale del potere assoluto, Bergoglio esprime una Chiesa spogliata, secondo lo stile del suo patrono, il «poverello» di Assisi, sicura- mente convinto che Cristo non costruirebbe mai la sua Chiesa sulle pietre dei palazzi del Vaticano. E se tornasse a Roma andreb- be certamente ad abitare nelle borgate della periferia.
Quanto al suo progetto di mondo, papa Francesco è colui che maggiormente esorta al dialogo, all’incontro e alla cultura della
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pace e che denuncia con durezza le guerre attuali, da lui conside- rate come l’inizio di una terza guerra mondiale che si combatte a pezzetti. E la sua enciclica Laudato si’ indica come la sua preoccu- pazione principale non sia quella per il destino del cristianesimo, ma quella per l’umanità e la Casa comune. Che è il motivo per cui è rivolta a tutti gli esseri umani e non solo ai cristiani.
La questione che gli sta a cuore è la seguente: come possono il cristianesimo e le Chiese contribuire a salvare la vita e a garantire un futuro di speranza alla nostra civiltà? D’altra parte, bisogna ri- conoscere che nessuna riforma nella Chiesa è possibile se non si comincia dal suo vertice, che è il papa. La riforma è cominciata e
sono sicuro che arriverà al corpo della Chiesa, il vecchio sogno dei riformatori, i quali chiedevano una riforma «in capite et in membris». E dico questo perché ritengo che il vescovo di Roma, Francesco, darà avvio a una nuova genealogia di papi provenienti dalla periferia, dall’Africa, dall’Asia e dall’America Latina, dove vive la maggioranza dei cattolici. La vecchia cristianità europea concentra appena il 25 per cento dei cattolici e oso dire che non possiede più 1 una vitalità che possa consentirle di rappresentare il messaggio di Cristo in un mondo totalmente cambiato, immerso in un processo 9 di «pianetizzazione», e destinato a essere percepito come l’unica
Casa comune, la Terra, sovrasfruttata e ferita. Le Chiese nuove affondano le loro radici nelle culture locali, dialogano con le altre 9 religioni, elaborano le proprie liturgie e i propri modi di fare teologia in dialogo con le sfide legate all’ambiente.
Come interpreti la dura opposizione di alcuni settori al pontificato di Francesco? Una ribellione contro il papa come quella dei quattro cardi- nali guidati da Raymond Leo Burke appare come un fatto quantomeno insolito nella storia della Chiesa 4. Che conseguenze può avere il fatto che un papa venga addirittura accusato di incorrere in errori teologici? Questa opposizione al vescovo di Roma, Francesco, rivela qualco- sa di positivo: le esigenze di riforma connesse a stili di vita più evangelici, più semplici e vicini ai fedeli, danno fastidio a quei gruppi conservatori che sono ostaggio di una Chiesa di prìncipi e di abitudini medievali. Il cardinal Burke ne offre un significativo
4 Si fa riferimento ai quattro cardinali (Raymond Leo Burke, Joachim Meisner, Walter Brandmüller e Carlo Caffarra) che hanno espresso al papa cinque dubbi a proposito dell’ortodossia del documento post-sinodale sulla famiglia Amoris laeti- tia (circa l’accesso dei divorziati risposati all’eucarestia), chiedendogli di fare chia- rezza. Di fronte al silenzio del papa, il cardinal Burke è giunto a ventilare una «correzione formale».
esempio: ama le sontuose forme rinascimentali, gli abiti vistosi, la cappa magna [abito a forma di campana con strascico posteriore lungo alcuni metri], gli anelli d’oro, tutto ciò che Cristo ha critica- to e respinto. È una sorta di Trump della Chiesa cattolica: rude e provocatore. Rivela un tale livello di arroganza da pensare di sot- tomettere il papa a un processo dottrinario pur sapendo che, in base al diritto canonico, nessun papa può essere giudicato. E, per conquistare forza, è arrivato ad allearsi con Steve Bannon, il capo stratega del presidente degli Stati Uniti, cattolico ultraconservato- re (ma divorziato già tre volte) legato a gruppi conservatori della curia che mirano a destabilizzare Francesco. Tuttavia, si tratta, a mio giudizio, di un fenomeno che non avrà maggiori conseguenze: pare che il gruppo stia implodendo, in quanto si è esposto al ridi- colo, non ha un fondamento teologico e, quel che è peggio, è privo di qualunque riferimento al povero di Nazaret e alla tradizio- ne degli apostoli.
La dimensione «religiosa», con i suoi tre pilastri della legge, del tempio e della casta sacerdotale, ha soffocato innumerevoli volte nella storia la radicalità del messaggio evangelico. Eppure il Gesù descritto dai Van- geli non solo non è venuto a fondare una nuova religione, ma ha anche avuto con il potere religioso uno scontro durissimo e alla fine mortale. Come è possibile una tale incomprensione da parte di coloro che pure si professano suoi seguaci?
I Vangeli narrano le tre tentazioni di Gesù, tutte legate al potere, come esplicitato più tardi da Max Weber: la tentazione del potere profetico, quella del potere religioso e quella del potere politico. Il potere profetico è la parola, in grado di trasformare le pietre in pa- ne; il potere religioso è quello legato al tempio e al sacro in relazio- ne a costumi e tradizioni; il potere politico è quello relativo alla dominazione del mondo. Gesù ha superato le tre tentazioni. Pur- troppo, nel corso della sua storia, la Chiesa a queste tre tentazioni ha invece ceduto. È caduta nella tentazione profetica moltiplicando i miracoli e trasformando i propri ministri in soggetti dal potere magico che impongono le mani e impartiscono benedizioni curative anziché farne degli evangelizzatori in grado di inaugurare ciò che nel secondo secolo si chiamava «tertium genus», il terzo genere op- posto ai romani e ai giudei, quello dei cristiani che amavano i nemici, erano al servizio dei poveri e andavano con gioia incontro al martirio. È caduta nella tentazione del tempio creando la «sacra potestas» come asse di articolazione della struttura della Chiesa, con una vera casta sacerdotale, gerarchizzata, piena di privilegi, titoli
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onorifici e palazzi, lontana da un popolo destituito di partecipazio- ne. Quanto al potere politico, questo è ancora rappresentato dallo Stato Pontificio, ultimo residuo del vasto potere detenuto da papi come Innocenzo III, al quale quasi tutta l’Europa, al tempo di san Francesco di Assisi, era sottomessa attraverso diversi patti di vassal- laggio. È assai difficile veder ritratta in queste forme ecclesiastiche di potere la figura del Nazareno, falegname e contadino mediterra- neo, senza potere, povero, perseguitato e crocifisso. Gli è stato pre- ferito il Pantocrator, coronato come un re. Gesù non è venuto a fondare una nuova religione tra le molte che esistevano a quel tempo. Voleva insegnare a vivere, a vivere specialmente quei beni del Regno di Dio che sono l’amore incondizionato, la misericordia, la compassione, l’amore per i poveri e la totale apertura a Dio, chia- mato papà, Abbà, un Padre con caratteristiche di madre.
Una delle più avanzate frontiere teologiche è oggi quella impegnata nel compito di riformulare la fede cristiana in un linguaggio che possa risul- tare ancora significativo per gli uomini e le donne contemporanei. È possibile colmare il fossato che si è aperto tra ciò che accettiamo come verità scientifica e ciò che afferma la dottrina tradizionale della Chiesa? La Chiesa cattolica soffre di una grave lacuna per ciò che riguarda il linguaggio. E ciò si deve al modo in cui si è organizzata: anziché nella forma della comunione e della partecipazione di tutti e di dialogo con la cultura attuale, in quella della subordinazione e dell’obbedienza alle autorità. Non esiste propriamente un proces- so di iniziazione all’esperienza cristiana. Al suo posto, troviamo invece i dogmi, le dottrine e i catechismi. La teologia è ancora, in gran parte, riservata al clero. E i laici, i teologi e le teologhe ven- gono guardati con sospetto dalle autorità ecclesiastiche perché non possono essere controllati. Quello che è emerso è un cristia- nesimo mediocre che ha paura dei saperi moderni ed evita il dia- logo con le varie scienze. La morale cattolica è ancora assai debi- trice di sant’Agostino, il quale non è mai riuscito a superare total- mente il manicheismo da lui professato durante una buona parte della sua vita. È la sua visione etica ad aver preso il posto di quel- la della prassi di Gesù, delle beatitudini e dell’amore incondizionato, specialmente verso quegli invisibili che per Gesù erano il vero prossimo. La Chiesa non ha mai dialogato con Freud, con Wilhelm Reich o con Donald Winnicott e ancora meno con Darwin, Heisenberg/Bohr e con Marx. E, se lo ha fatto, è stato in maniera negativa.
In tal modo, la grandezza del messaggio di Gesù non viene perce- pita dalle persone. Ma, grazie al vescovo di Roma, Francesco, si è
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dato ora inizio a un dialogo con gli intellettuali, con gli atei e con qualunque persona che mostri interesse alla questione del senso della vita e dell’universo, come è avvenuto con il fondatore del quotidiano la Repubblica Eugenio Scalfari. Credo che per superare tale deplorevole situazione sia necessario dare la parola ai laici, agli scienziati, ai letterati, agli intellettuali e a tutti coloro che ab- biano qualcosa da dire. La Chiesa non deve sentirsi detentrice della verità e non ha neppure bisogno di esserlo. Deve, al contra- rio, confidare nello spirito umano, sempre accompagnato dallo spirito di intelligenza e di comprensione. Tutti partecipano della verità. È un atto blasfemo contro lo Spirito Santo immaginare che gli altri, tanto in Oriente quanto in Occidente, abbiano solo pro- dotto errori. Mi vengono in mente gli ispiratori versi del poeta spagnolo Antonio Machado: «La tua verità?/ No, la Verità,/ vieni con me a cercarla./ La tua, tienitela».
Quanto sono ancora plausibili le religioni nel mondo postmoderno?
Ritengo che il fattore religioso sia un dato antropologico del fon- damento utopico dell’essere umano. Oggi, dopo il riflusso della marea critica nei riguardi della religione, possiamo dire che i critici non lo sono stati abbastanza. In fondo, tutti sono incappa- ti in un equivoco. Hanno voluto collocare la religione all’interno della ragione, producendo così ogni tipo di impasse. Perché non si sono resi conto che il luogo della religione non è all’interno della ragione, ma nell’intelligenza cordiale, nell’emozione pro- fonda, nel sentimento oceanico, in quella sfera dell’umano in cui emergono i sogni e le utopie. Lo spiegava bene Blaise Pascal, nel frammento 278 dei suoi Pensées: «Il cuore, e non la ragione, sente Dio». Credere in Dio non è pensare Dio, ma sentire Dio a partire dalla totalità del nostro essere. La religione è la voce di una co- scienza che non può trovare riposo nel mondo così com’è e che ha come progetto quello di trascenderlo. Ricordo un’affermazio- ne di Émile Durkheim nel suo famoso libro Le forme elementari della vita religiosa (1912): «Nella religione c’è quindi qualcosa di eterno, destinato a sopravvivere a tutti i simboli particolari di cui il pensiero religioso si è successivamente circondato». In questo senso, essa è sovratemporale, perché affonda le sue radici nel profondo dell’essere umano, sia nel passato, sia nella modernità, sia nella postmodernità.
Hai dedicato la tua intera vita al servizio della causa della liberazione: quella dei poveri e quella del «grande povero» che è il nostro pianeta
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devastato e ferito. E ora il loro duplice – e congiunto – grido ha trovato accoglienza nella Laudato si’, a cui tu stesso hai collaborato. Dopo più di trent’anni di lavoro diretto ad articolare teologia della liberazione ed ecologia, cosa significa per te il fatto che il papa, citando il titolo di uno dei tuoi libri più conosciuti, abbia evidenziato la necessità di ascoltare il grido dei poveri insieme a quello della Terra?
Concentrandosi non solamente su quella parte della realtà che è la Chiesa, ma sul tutto che è la Casa comune e la specie umana, papa Francesco mostra grande sensibilità per la sofferenza della Terra, della natura e di gran parte dell’umanità impoverita e affa- mata. Così, ha raccolto i dati più affidabili delle scienze e ha elaborato un’enciclica sui problemi ecologici che possono minacciare la vita sulla Terra e il futuro della specie umana. Non è corretto definirla un’enciclica verde, un’enciclica che tratta di ambiente. Perché abbiamo a che fare con un’ecologia integrale che com- prende le quattro grandi tendenze della riflessione ecologica mon- diale: quella ambientale, quella politico-sociale, quella mentale- culturale e quella spirituale. Ed è curioso che il papa utilizzi non soltanto la ragione analitica, ma anche, e principalmente, l’intelli- genza cordiale e sensibile. Solo attraverso questo tipo di intelli- genza, infatti, le persone possono sentire come proprio il dolore della Terra e degli altri fratelli e sorelle. È l’intelligenza cordiale che muove le persone a impegnarsi sul versante della salvaguardia della Terra. Per questo Francesco chiede che si articoli sempre il grido della Terra con il grido dei poveri, citando il titolo del mio libro che ha inaugurato, a metà degli anni Novanta, il dialogo tra la teologia della liberazione e l’ecologia. Un dialogo che ho appro- fondito poi, insieme al cosmologo nordamericano Mark Hatha- way, nel volume Il Tao della liberazione 5, il quale ha ricevuto, nel 2010, negli Stati Uniti, il premio Nautilus Gold Medal in scienza e cosmologia. Se prima quasi nessuno mi prestava ascolto, oggi questo è diventato un discorso generale delle Chiese e di gran parte della società. Per me si è trattato di una mera conseguenza del principio di base della teologia della liberazione: l’opzione per i poveri, contro la loro povertà e per la loro liberazione. È all’interno di questa opzione che occorre collocare il Grande Povero che è la nostra generosa Madre Terra, sovrasfruttata e sofferente, anch’essa bisognosa di liberazione. Con la sua enciclica, secondo vari esperti, come Edgar Morin, il papa si pone all’avanguardia della discussione ecologica mondiale.
5 L. Boff, M. Hathaway, Il Tao della liberazione, Fazi Editore, Roma 2014.
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Nella tua riflessione teologica hai preso enormemente sul serio le tante minacce di distruzione lanciate contro Gaia, il pianeta vivente che è la nostra Casa comune, ma sempre coltivando la speranza che l’evoluzione sia plasmata in modo tale da convergere verso livelli di complessità e di autocoscienza sempre maggiori, annunciando un nuovo inizio per quell’unica entità indivisibile Terra-umanità che gli astronauti per pri- mi hanno colto, con emozione e riverenza, guardando il nostro pianeta azzurro e bianco dallo spazio. Lo scenario attuale, pur così drammatico, autorizza a sperare nell’avvento di una nuova era della Terra?
Penso che ci troviamo alla fine di un’epoca e agli albori di una nuova. Si tratta di una crisi di proporzioni planetarie che sarà destinata a smantellare questo tipo di mondo in cui l’essere umano si è trasformato nel Satana della Terra anziché nel suo angelo custode. Se continuassimo in questa direzione, potremmo andare incontro al peggio. Ma questo sentimento è tipico dei tempi di crisi, quando scompaiono i punti di riferimento e sorgono allora idee apocalittiche, timori di grandi tragedie. Io credo che ci troviamo di fronte non a una tragedia inevitabile, ma a una transizione verso un nuovo modo di abitare la Casa comune. Le sofferenze che proviamo non sono quelle di un moribondo sul letto di morte, ma quelle di un parto da cui emergerà una nuova creatura. Non finirà il mondo, ma solo questo tipo di mondo, il quale è condanato a morire in quanto eccessivamente crudele e nemico della vita. Faccio mie le parole conclusive dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco: «Camminiamo cantando! Che le nostre lotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza».
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