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Mettiamoci per un momento nei panni dei ministri del Supremo Tribunale Federale. Hanno dovuto affrontare un processo di 60.000 pagine: il procedimento penale 470, chiamato pure «mesatona», [cioè “mensilità o mesata allargata o gonfiata”, bustarelle elargite a parlamentari dell’opposizione, perché votassero i provvedimenti governativi) [NdT]. Una fatica erculea. Dopo aver letto e meditato su quella montagna di documenti si impone alla Suprema Corte il primo compito eccitante: formarsi una convinzione sulla condanna o meno degli incriminati e il tipo di pena da irrogare. Ma quando si tratta di privare un cittadino del dono più prezioso dopo la vita  ̶ la libertà ̶  soprattutto se riguarda politici che occupavano alte cariche di governo e che nelle loro biografie ostentano segni
di prigionia, torture e esilio, che risalgono al tempo della conquista della democrazia sequestrata dalla dittatura militare, devono prevalere rigorosamente la esenzione e l’ indipendenza; devono parlare più alto le prove negli atti che non i puri indizi, le illazioni, la pressione dei media e gli intrighi politici. Per dare ordine all’argomentazione è necessario creare un discorso coerente che, fondato negli atti, comporti una decisione convincente e giusta. Qui ha il suo posto la soggettività che è il naturale e inevitabile momento ideologico, legato alla cosmovisione dei ministri, alle loro biografie, relazioni sociali che nutrono e alla loro interpretazione della politica internazionale. Tutto ciò non  è oggetto di critica
         Il senso della crisi
 È in questo contesto che mi è venuta in mente,  una categoria fondamentale della filosofia moderna, almeno dai tempi di Kierkegaard, Husserl e Ortega y Gasset: la crisi. Per questi e per noi, la crisi non è un male che ci capita all’improvviso. Essa appartiene essenzialmente alla vita. Dove c’è vita, c’è crisi: di nascita, di crescita, di maturazione, di invecchiamento e la grande crisi della morte. La ricerca ha dimostrato che il concetto di crisi, nella sua genesi filologica, è inerente all’attività del sistema giudiziario e della medicina. Per questo lo abbordiamo nel contesto della «mesatona». Il suo significato deriva dal sanscrito, ossia della lingua che ha dato origine alla nostra,  al greco e al cinese.
 In sanscrito, crisi viene da kri, o kir che significa sgomberare (scatter, scattering), purificare (pouring out) e ripulire. Dalla voce crisi e vengono le parole crologio e purificar.  La crisi funziona come un crogiolo (catino che serve per separare l’oro dalla ganga;(purifica, pulisce) un processo vitale o storico dalle incrostazioni che hanno ricoperto l’aspetto originale. La crisi designa pertanto il processo di liberazione del nucleo centrale della questione, una volta sgombrati di elementi accidentali. Dopo qualsiasi crisi, fisica, psichica, morale, interiore e religiosa l’essere umano ne esce purificato, liberando le sue forze a una vita più rigorosa e con un nuovo significato. Tutto il processo di purificazione implica una de-cisione che instaura una scissione tra vero e falso, tra il sostanziale l’accidentale. Da qui il suo carattere doloroso, non raramente, drammatico. Da «crisi» proviene anche la parola criterio che è il mezzo attraverso il quale si può discernere l’autentico dall’inautentico e il corretto dal corrotto. In greco «crisi» (krisis, crìnein) significa pure la de-cisione in un processo giudiziario. Il giudice studia le accuse, verifica le prove negli atti, pesa processualmente e soppesa i pro e i contro e poi annuncia la de-cisione. Introduce una scissione tra dubbio e certezza, tra le prove e semplici indizi.
Lo stesso succede con una visita medico-chirugica. Il medico confronta vari elementi e decide: la diagnosi è questa.
Tutto questo processo in Grecia era chiamato ‘crisi’. Presa la decisione, la crisi finisce. Regna la certezza e la tranquillità della coscienza. Quando un malato supera il «punto critico» è segno che ha cominciato la cura e il medico, in poco tempo, decise che il paziente può essere dimesso dall’ospedale. Effettivamente nella crisi non si tratta di opinare su qualcosa ma di decidere qualcosa dopo un processo creatore di convinzioni a partire da prove sicure.
In cinese la parola crisi risulta dal due “kanjis: uno per “pericolo” e un altro per “opportunità”. È sempre pericoloso buttar giù un giudizio sia da parte del giudice sia da parte del medico. Ma qualsiasi giudizio crea l’opportunità di mettere scrivere in bella le incriminazioni, di rispondere ai dubbi e, mediante una decisione conforme alla legge, consolidare la convinzione.
                Politicizzazione del Supremo Tribunale Federale?
 Quanto abbiamo esposto esprime il concetto ideale di crisi (Max Weber) che possiede una funzione euristica (orientatrice). In pratica il trattamento della crisi è approssimativo e non esente da ambiguità. Nel caso dell’ Azione penale 470 è utile domandare: fare coincidere il processo con le elezioni municipali non è forse entrare nel gioco politico, fornendo una potente arma a una parte dei contendenti? Non c’è un serio rischio che con questo si compromettono i principi della separazione e dell’imparzialità? Utilizzare la teoria polemica del “dominio del fatto totale” per inquadrare la maggioranza dentro a un ragionamento logico deduttivo, non fa svanire il principio base della presunzione di innocenza”? Nel furor condemnandi visibile nel linguaggio fiorito di alcuni ministri, no non c’è stato forse un eccesso di imputazione? La verità è che i rei devono essere codannati per crimini e delitti che hanno commesso, assolutamente comprovati, sia del del PT, sia della coalizione, poco conta l’importanza della carica della rispettabilità della biografia. La legge vale indistintamente per tutti. Ma i diritti sono stati di varia natura e in circostanze differenziate. Si può mettere tutti nello stesso sacco, il famoso “dominio del fatto” con delle semplici varianti? Tocca alla ragione giuridica prendere di petto la questione cruciale. Sicuramente il giudizio è stato legale(secondo le leggi) e morale (realizzato da ministri coscienti e dotti). Ma esso è stato sufficientemente etico nel senso di stretta osservanza dei principi della immunità, dell’indipendenza e della presunzione d’innocenza, libera da forte tendenza a condannare? Caso fossero confermati i sospetti che la condanna di José Genoino e José Dirceu è stata fatta per semplici indizi e illazioni senza prove sufficienti negli atti e per causa di questo fossero messi in prigione, questi possono considerarsi “prigionieri politici”, cosa impossibile in un regime democratico di diritto. Difficilmente si può evitare la critica  di un tribunale di eccezione e della possibile corruzione etica nel procedimento giudiziario e di possibile corruzione etica del procedimento giudiziale. Dubbi da chiarire. Alla storia toccherà l’ultima parola.
                 Chiamata alla conversione e alla speranza
 Infine, è importante riconoscere che il PT che si è battuto per l’etica in politica (politici e responsabili e onesti) e per l’etica della politica (istituzioni nei procedimenti secondo valori e principi), con la «Mesatona» di alcuni dei suoi membri, si è aperta una ferita nel partito come un tutto, che per molto tempo dovrà sanguinare. Molti, anche non iscritti al partito come il sottoscritto, avevamo depositato fiducia nella seria dimensione etica delle pratiche politiche del PT. Noi intellettuali, possiamo rimanere frustrati davanti ai diritti eventualmente commessi, ma il popolo che nutriva fiducia non merita di sentirsi tradito e preso in giro come tante altre volte nella storia.
Chi è caduto può sempre rialzarsi ricominciare. È quello che richiediamo al PT. Senza questoil perde credibilità è difficilmente può ancora presentarsi come alternativa a un tipo di politica che incorpora tra le sue abitudini la corruzione e l’uso in debito delle risorse pubbliche per garantire le vittorie. Si è creato un vuoto che grida aprire per essere lì riempito o dal PT riconvertito o da altri attori e partiti che portino avanti alta la bandiera dell’etica e orientano le loro pratiche politiche sui principi e valori. In questo la nostra speranza non viene meno.
 
*Leonardo Boff è professore emérito di Ética della Universitá dello Stato di  Rio de Janeiro (UERJ) e membro della  Comisione Internazionale della  Carta della Terra.
Tradotto da Romano Baraglia
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